Se penso ad un luogo ideale da dipingere, immagino una scogliera sul mare o un sentiero di montagna, la campagna al tramonto o il panorama di una città.
Mi immagino seduto su un prato o su un muretto a godermi l’atmosfera mentre traccio qualche linea a matita su un foglio di carta e spennello i colori tentando di catturare la luce e l’emozione del momento.
Eppure questo tipo di luoghi rischiano spesso di sembrare un clichè, e serve prendersi una pausa da questi soggetti per apprezzare i luoghi quotidiani, i luoghi monotoni, senza personalità, o semplicemente i luoghi brutti.
Quand’ero a Tokyo e non avevo il deodorante
Ogni tanto mi chiedo perchè dipingo, al di là del piacere che ho nel fare questa attività. Quando dipingo qualcosa e la pubblico sui social o sul blog, è per cercare di trasmettere agli altri le stesse sensazioni che provavo quando mi trovavo sul posto.
La scelta cade, appunto, in luoghi belli o “pittoreschi”, ma ci sono posti che rimangono impresis nella memoria, e anche se sono brutti riescono a trasmettere una certa emozione.
Ecco un racconto che risale al 2018, quando a Tokyo scattai questa foto:
Ero vicino al quartiere di Shibuya, nella parte ovest del centro della città. Era un tardo pomeriggio di agosto e avevo appena finito di visitare il Santurario Meiji (明治神宮), un luogo immerso in una foresta nel centro della città. Non un semplice parco, ma un luogo con alberi immensi in cui si ha proprio l’impressione di essere usciti dalla città e di essere immersi in un bosco.
La temperatura era torrida e umida, ero sudato fradicio e avevo dimenticato a casa il deodorante. Non in ostello, ma a casa in Italia. Poco male, mi dissi, sono in una delle metropoli più grandi del mondo, con negozi di cosmetica che si estendono per tre piani, troverò sicuramente un deodorante da comprare.
E invece no, con mio grande stupore scoprii che le persone asiatiche hanno un tratto del loro codice genetico che determina due cose:
- che hanno il cerume secco invece che ceroso
- che le loro ascelle non puzzano come quelle degli occidentali
Del cerume mi importava poco, ma il secondo punto implicava che tutti i deodoranti in vendita erano semplici profumi e non erano assolutamente antitraspiranti. Svariati blog che lessi dicevano che gli occidentali si fanno spedire il deodorante dalle loro nazioni di origine per risolvere il problema.
Torta finita mi trovavo quindi sudatissimo e puzzolente in mezzo a Tokyo, lontanissimo dal mio ostello e con l’impellente necessità di lavarmi per affrontare la serata.
Decisi quindi di cercare un sentō (銭湯), cioè un bagno pubblico dove ci si può andare a lavare sedendosi su degli sgabelli e usando dei doccini per poi rilassarsi in una vasca d’acqua calda.
Ci sono diversi sentō a Tokyo, molti dei quali indirizzati ai turisti, ma volevo spingermi fuori dai limiti e cercare un posto frequentato da soli giapponesi.
Ne trovai quindi uno, in un quartiere residenziale fatto di vicoli sotto grandi cavalcavia stradali e ferroviari.
Una volta dentro il sentō, lasciate le scarpe in un armadietto all’esterno, trovai una vecchina di 197 anni ad accogliermi. Le mostrai un asciugamano di 20x20cm, che usavo per asciugarmi il sudore, chiedendole in giapponese un asciugamano pulito e del sapone.
Mi disse (in giapponese, quindi la traduzione era puramente a intuito, e quindi sbagliata) che li avrei trovati negli spogliatoi.
Entro negli spogliatoi. In Giappone quando si va alle terme o nei bagni pubblici si sta sempre divisi per sesso e si sta completamente nudi. Quindi entro in questo posto pieno di uomini nudi e mi metto a cercare un asciugamano. Non ne trovo e devo per forza chiedere a qualcuno.
Ora, se ci si rivolge a una persona svestita non si può stare vestiti, è una questione di rispetto, no? E quindi mi spoglio e chiedo dove sono gli stramaledetti asicugamani. Ovviamente nessuno parla inglese ma quando mi avvicino a una catasta di asciugamani tutti mi guardano e fanno il gesto batsu (c’è anche l’emoji 🙅♂️) con le braccia per dirmi “SBAGLIATO!”: erano gli asciugamani sporchi.
Finalmente arriva un ragazzo che capisce l’inglese e che mi aiuta, chiamando la vetusta che mi porta un asciugamano pulito, salvando dall’imbarazzo tutti i presenti.
Dipingere luoghi brutti
Tutta questa storia è per dire che è grazie a questa esigenza di lavarmi che mi trovai in un posto di Tokyo dove non sarei mai capitato, ben diverso dalle zone più famose e fotografate.
Non era un brutto quartiere, ma c’erano degli scorci, come quello che ho fotografato, che per quanto brutti nascondevano un certo fascino e mistero.
Quando qualche giorno fa stavo cercando un soggetto da dipingere con le gouache nello stile degli sfondi dei film d’animazione giapponesi, ho scelto proprio questo scorcio di una via da cui ero passato.
Lo strano oggetto in primo piano, i muri sporchi, il verde scuro delle piante dietro all’edificio e la vetrina illuminata creavano una composizione interessante.
Ho quindi abbozzato uno schizzo con una prova colori a matita e acquerello.
E poi sono passato al lavoro finale, che ha richesto 5 o 6 ore per essere completato, in formato A4.
Ho trovato molto interessante studiare tutti i dettagli, le scritte e i graffiti da riportare nel dipinto, e mi è piacuto dedicarmi per diverse ore in diverse sessioni a questo dipinto, senza avere la fretta di finirlo in poco tempo come quando dipingo dal vivo.
Per quanto riguarda dipingere luoghi brutti, vi rimando poi a questo video di James Gurney, in cui parla di quanto gli piace dipingere i luoghi quotidiani.
Dice che tutti gli artisti sono affascinati dai luoghi pittoreschi anche in ragione del fatto che sono già stati domati dai grandi artisti del passato e che quindi sono codificati, più semplici da dipingere.
Cita Émile Zola:
Il passato non era altro che il cimitero delle nostre illusioni: uno si rompe i piedi contro le tombe
Per dire che il mondo moderno ci dà delle opportunità (di soggetti da ritrarre) che i nostri antenati non avrebbero nemmeno potuto immaginare. E che quando dipingiamo, filtriamo la realtà attraverso la nostra coscienza, in modo tale che anche gli altri ne possano vedere la magia.
O come avrebbe detto sempre Zola:
Un’opera d’arte è un angolo di creazione visto attraverso un temperamento
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